Back to the Who 51 Tour

Quando, un paio di anni fa, Roger Daltrey annunciò il “The Who Hits 50 Tour”, definì la serie di eventi live che avrebbero celebrato il mezzo secolo di attività della storica band britannica come l’inizio di un lungo addio, ma probabilmente non poteva immaginare che il commiato si sarebbe protratto tanto a lungo: parte delle 70 date programmate sono, infatti, state posticipate all’inizio di quest’anno a causa di una meningite virale che ha colpito il cantante e che lo ha costretto a un riposo forzato fino al febbraio scorso. Inoltre, le numerose date aggiunte “in coda” (17, da giugno fino all’aprile dell’anno prossimo) hanno convinto la band a ribattezzare il prosieguo come “Back to the Who Tour 51”.

Ogni qualvolta un gruppo leggendario, magari mutilato di qualche componente originale, si appresta a rimettersi on the road con l’intenzione di chiudere definitivamente la propria carriera live, accende sentimenti contrastanti: se da un lato, può godere del supporto incondizionato dei fans più nostalgici, dall’altro suscita la stizza di chi preferirebbe non assistere a una manifestazione del suo fisiologico declino, volendone conservare un ricordo migliore. Gli Who (no, non riesco a dire “i Who”, come vorrebbe la Crusca, n.d.r.), però, hanno costruito la loro reputazione proprio su una considerevole attività live, oltre che su una produzione discografica d’eccezione, e questo legittima l’entusiasmo dei tantissimi che hanno deciso di assistere ai concerti di questo – si presume –  ultimo tour, che li ha portati a Bologna il 17 e a Milano il 19 settembre.

Ad accompagnare i due membri originali – Roger Daltrey alla voce e Pete Townshend alla chitarra – una lineup di tutto rispetto:  John Corey e Loren Gold alle tastiere, percussioni e cori, Frank Simes a tastiere, percussioni, cori, mandolino e banjo, Pino Palladino al basso, Zak Starkey (figlio di Ringo Starr, n.d.r.) e Simon Townshend, fratello di Pete e collaboratore degli Who da una ventina di anni, a chitarre e cori. Una formazione dall’impronta vintage che non ha tradito il sound originario della band.

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Dopo il set di apertura degli Slydig (buon gruppo britannico ben accolto dal pubblico milanese), in due ore di show, in ordine sparso, gli Who hanno snocciolato una pioggia di pietre miliari della storia del rock: dagli esordi di I Can’t Explain, The Kids Are Alright e My Generation (inni della generazione Mod, una copiosa rappresentanza dei cui “figli”, muniti di Vespa truccatissima e in abiti d’epoca, ha presenziato alle due date italiane), alle perle di Tommy (Amazing Journey, Acid Queen , Pinball Wizard e See Me, Feel Me) passando agli anni ’70 con le hit di Who’s Next (Behind Blue Eyes, Bargain e le colossali Baba O’Riley e Won’t Get Fooled Again), con Join Together (un momento toccante, in cui gli Who hanno testimoniato la loro vicinanza alle popolazioni colpite dal terremoto dello scorso agosto) e la sezione di Quadrophenia (5.15, I’m One, The Rock e Love, Reign o’er Me), fino ai singoli dei primi anni ’80, accolti più tiepidamente dal pubblico ma sempre splendidi. Il susseguirsi dei brani è stato contrappuntato dalla proiezione di filmati d’epoca, immagini della band e animazioni di una bellezza tale che da sola sarebbe valsa i soldi del biglietto. Splendidi, in particolare, i ricordi dei compagni che non ci sono più: il batterista Keith Moon e il bassista John Entwistle, scomparsi rispettivamente nel 1978 e nel 2002. Se l’assenza del primo è stata ampiamente metabolizzata da chi, come me, lo ha sempre visto unicamente in filmati d’epoca, fa ancora un certo effetto non scorgere la presenza discreta di John Entwistle sul palco, nonostante il suo sostituto sia ben più che degno (come ha testimoniato l’ovazione che il pubblico gli ha riservato a fine concerto).

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In tutta franchezza, con un catalogo e delle doti come i loro, resta da capire come sia possibile che gli Who, nonostante sia stato loro concesso di soggiornare nell’Olimpo del rock, non abbiano mai davvero guadagnato lo stesso status di altri fellow Brits. Eppure, anche a volersi limitare a quel che abbiamo ascoltato in questa serata milanese, sono tanti e tali i capolavori che hanno consegnato alla storia da lasciare quasi sbalorditi, soprattutto se si pensa che arrivano tutti dal genio di Pete Townshend, autore della quasi totalità dei brani incisi dal gruppo. Impossibile non interrogarsi sui territori sonori conquistati da un singolo individuo, che è anche un performer eccezionale: forte del suo parco chitarre rivisto e ampliato, ha regalato ai fans un’esibizione stellare, senza risparmiare i gesti iconici che da decenni mandano in delirio i suoi fans (primo fra tutti lo storico mulinello) e parlando senza sosta al pubblico.  Roger Daltrey, invece, è lo stesso leone di sempre, il rocker per antonomasia, una roccia dal carisma sfacciatamente intatto, il migliore interprete che la musica di Townshend potesse trovare, come lo stesso chitarrista ha detto, presentandolo.

C’è poco da aggiungere. Per come lo concepisco io, il rock – quello vero –  va scritto e suonato così: idee geniali sviluppate nel loro pieno potenziale da parte di un gruppo di individui che trasudano talento. Al Forum non si è avvertita neanche per un attimo la nostalgia per i tempi andati; è stato il trionfo del sincronismo di musica totalmente senza tempo. Purtroppo l’epifania che stasera ha manifestato una volta di più la grandezza di questi titani ci ha mostrato, per inverso e con una chiarezza dolorosa, ciò che manca alla musica oggi: il genio, appunto.

Ci sono buone possibilità che il duo Daltrey-Townshend continui a fare musica (un nuovo album potrebbe vedere la luce a breve), ma difficilmente torneranno a fare tour mondiali insieme, a quanto loro stessi dicono. Speriamo che mentano: Long Live Rock!

SCALETTA:

I Can’t Explain

The Seeker

Who are you

The Kids Are Alright

I Can See For Miles

My Generation

Behind Blue Eyes

Bargain

Join Together

You Better You Bet

5.15

I’m One

The Rock

Love, Reign O’er Me

Eminence Front

Amazing Journey

The Acid Queen

Pinball Wizard

See Me, Feel Me

Baba O’Riley

Won’t Get Fooled Again

12 pensieri su “Back to the Who 51 Tour

  1. Ho assistito allo show di Bologna….devastante!!!
    L’urlo di Daltrey in We won’t get fooled again a mio avviso è stato il momento più significativo…. e riassume la storia del Rock!

  2. C’ero anche io e non avrei saputo esprimere meglio le sensazioni che ho vissuto.
    Un grande evento che dopo ha lasciato una sorta di amaro in bocca, al pensiero che questa generazione di musicisti non lascia eredi.
    Complimenti per il bell’articolo, Federica!

  3. Mi si accusa spesso di essere una nostalgica con lo sguardo costantemente rivolto al passato. Non è vero: saluterei volentieri i nuovi Who, i nuovi Beatles, i nuovi Stones, ma non c’è nulla che sia lontanamente comparabile a ciò che questi artisti hanno saputo concepire e sviluppare.

  4. Vero. Ma avrebbe approfondito il tema.
    Di sicuro non esiste più un industria musicale che crede, investe ed osa in profitti di qualità. E poi l’offerta è satura. Trop di tutto, troppo mediocre, troppo rock, troppo blues, troppa psichedelica, troppe jam band……difficile orientarsi

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